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Il cavo coassiale per servizi televisivi ha un’impedenza di 75 Ohm ed è composto da un unico conduttore di rame (o di un altro metallo nel caso di cavi meno pregiati). Importante, per definire la bontà del cavo, è anche determinare la sezione del conduttore posto al centro del cavo (anima) e del dielettrico (tipicamente in polietilene o PTFE) che separa l’anima centrale da uno schermo esterno costituito da fili metallici intrecciati (calza) che garantisce l’isolamento tra i due conduttori. Lo schermo di metallo aiuta a proteggere il conduttore centrale dalle interferenze che provengono dall’esterno.
I cavi sono classificati in base all’efficienza di schermatura e, quindi alla capacità di proteggere il segnale trasmesso da interferenze esterne. I conduttori con i livelli di schermatura più elevati sono classificati come A++ mentre quelli meno efficienti sono inseriti nelle classi successive A+, A, B ecc.
Anche il materiale utilizzato per la realizzazione delle varie parti determina la bontà di un cavo: i migliori cavi hanno la calza ed il conduttore in rame perché è il metallo che garantisce le migliori prestazioni. La composizione della guaina e del dielettrico sono fondamentali per determinare la resistenza del cavo alle sollecitazioni meccaniche e all’invecchiamento.
Esistono cavi adatti per la posa all’esterno che sono protetti da speciali schermi anti-roditore e altri che invece sono adatti solo alla posa in tubature protette.
In fase di progettazione dell’impianto, per la scelta del cavo coassiale, oltre alle considerazioni fatte in precedenza, si deve tenere conto del tipo di segnale da distribuire e delle distanze tra le parti. Quindi, è necessario analizzare le schede tecniche dei vari conduttori e scegliere il prodotto che garantisca la migliore resa. Le tabelle dei costruttori mostrano le perdite su 100 m di cavo riferite a vari step di frequenza. I tipi di cavo più utilizzati sono quelli di diametro 5 mm oppure 6,8 mm. Il più delle volte, un buon cavo con diametro maggiore, garantisce prestazioni superiori a quelle di un equivalente di diametro inferiore.

I partitori ed i derivatori sono componenti passivi, fondamentali di un impianto TV perché permettono di ripartire in modo equo su tutte le prese il segnale ricevuto da una o più antenne ed opportunamente amplificato. A differenza di quanto accadeva in passato, negli impianti moderni si utilizzano quasi esclusivamente prodotti induttivi (e non resistivi) perché garantiscono maggior separazione tra le uscite e sono rispondenti alle attuali normative.
Un altro aspetto da considerare è quello della schermatura: meglio utilizzare partitori e derivatori dotati di connettori F (o, al limite, morsetto schermato) perché la TV digitale soffre interferenze esterne quali i rumori impulsivi e i segnali interferenti LTE che creano disturbi anche attraverso i cavi e le connessioni non adeguatamente schermate. In fase di progettazione di un impianto si devono utilizzare in modo corretto i partitori ed i derivatori in base alle loro caratteristiche:

Partitori: ripartiscono in modo simmetrico sulle uscite il segnale in ingresso, non hanno separazione tra le varie uscite e consentono il passaggio di corrente tra uscite e ingresso. Sono utilizzati principalmente per dividere le colonne montanti o, negli impianti satellite, per portare un segnale SCR o dCSS su più prese. Vista la scarsa separazione tra le uscite, non è ammesso il collegamento di prese terminali ad un partitore.

Derivatori: prodotti studiati per garantire una buona separazione tra le uscite e tra uscite e ingresso, sono ideali per la realizzazione di tutti gli impianti TV e consentono il collegamento di prese dirette alle uscite. Un’altra caratteristica peculiare del derivatore è che, per ciascun modello, sono disponibili più versioni con diversi valori di attenuazione in uscita e che le perdite di transito tra ingresso ed uscita sono molto contenute. Ciò lo rende adatto per realizzare impianti monocavo su più livelli perché garantisce un livellamento dei segnali a tutte le prese. Ad esempio, la serie Compact, con connettori F montati in verticale, comprende partitori con 1, 2, 3, 4, 6 e 8 uscite e derivatori con 1, 2, 4, 6 e 8 uscite, ciascuno con 4 diversi valori di attenuazione.

Innanzi tutto si deve calcolare l’attenuazione massima dell’impianto (dovuta al cavo, ai partitori e ai derivatori), ovvero la perdita di segnale che ho tra l’uscita dell’amplificatore e la presa più sfavorita. Sommando al segnale che voglio garantire in presa (dBμV) l’attenuazione massima prevista per la rete di distribuzione (dB) ottengo il livello di segnale che l’amplificatore mi dovrebbe garantire (dBμV). L’amplificatore chiaramente non genera il segnale ma incrementa quanto ricevuto in ingresso (dBμV) di un valore pari al proprio guadagno (dB). I parametri da valutare sono quindi: 1) Le perdite di distribuzione che spesso sono associate per semplicità al numero di prese ma che in realtà sono dipendenti dalle distanze e dall’architettura stessa dell’impianto (stella, cascata o mista). 2) Il livello di uscita che misura la potenza massima del segnale che l’amplificatore può erogare. In genere più è alto questo parametro più l’amplificatore costa e consuma in termini di corrente assorbita. Gli amplificatori con elevati livelli di uscita in genere sono autoalimentati appunto per il loro elevato assorbimento. 3) Il guadagno che misura di quanto l’amplificatore può incrementare il segnale in ingresso; se il segnale in uscita superasse quanto dichiarato come livello di uscita, tale segnale avrebbe un notevole peggioramento di qualità a causa di fenomeni di intermodulazione e distorsione. Dunque ho due scelte: cercare un amplificatore con maggiore potenza (se necessaria) o abbassare il livello in ingresso. Per questo motivo in genere gli amplificatori sono dotati di potenziometri o attenuatori. In conclusione, fatti i rilievi del caso sul segnale in antenna e sulle perdite di distribuzione, dovrò scegliere il prodotto con i valori di livello di uscita e di guadagno che soddisfino il caso specifico. Un ultimo consiglio è quello di non acquistare amplificatori ad alto guadagno se non necessario, confidando sulla presenza di attenuatori; l’attenuatore infatti agisce sul segnale in ingresso e dunque andrebbe utilizzato solamente per piccole ottimizzazioni: attenuare oltre i 10 dB un segnale prima di amplificarlo è una assurdità, potendo inserire un amplificatore a più basso guadagno, in quanto vado a peggiorare inutilmente il rapporto S/N del sistema. OSSERVAZIONE: i valori dichiarati come livello di uscita fanno riferimento a standard che prevedevano l’utilizzo di 2 o 3 toni di riferimento. Il valore espresso va quindi diminuito se i canali in banda aumentano. Esiste una formula semplificata molto usata nel sistema analogico che prevede di diminuire il valore così misurato di 3 dB ad ogni raddoppio di canali.

Talvolta, in alcune zone particolarmente problematiche (e.g. nelle località marittime), può capitare che si verifichino significative oscillazioni del segnale ricevuto in antenna, che possono portare a malfunzionamenti dell’impianto in determinate fasce orarie. Infatti durante la giornata, l’indice di rifrazione relativo n della troposfera è soggetto a cambiamenti in base alla variazione di temperatura, pressione e contenuto di vapore acqueo. Ciò si può ripercuotere quindi in fenomeni di instabilità del segnale dovuti alla propagazione delle onde nello spazio libero e all’influenza della superficie marina.
Per risolvere tali problematiche è possibile utilizzare degli amplificatori con il controllo automatico di guadagno. La scelta della tipologia di amplificatore verrà fatta durante le misurazioni della situazione più critica. Bisogna scegliere il modello giusto quando la potenza del segnale in ricezione è più basso possibile durante l’arco delle 24 ore. Quando il segnale in antenna comincierà ad incrementare entrerà in funzione l’AGC che abbasserà in modo automatico il livello di guadagno dell’amplificatore.

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